Maurizio Giordani Viaggi e Spedizioni Info e Contatti


   
VIA ROVERETO
PUNTA PENIA - MARMOLADA
ITALIA




Parete Sud

VIA ROVERETO — PILASTRO NINO
M. Giordani, F. Zenatti 4-5.9.1982
TD +, difficoltà massima 6°, A3.
Sviluppo circa 1000 m. su un dislivello di 800 m.
12-15 ore (tempo approssimato di salita).

Itinerario completamente attrezzato; sono stati usati circa 70 chiodi (3 a pressione) oltre a stopper e friends.
Tempo impiegato 37 ore effettive.

Il tracciato si collega con gli ultimi 4 tiri di corda della via Harlekin (it. 21) per poi proseguire autonomo fino in vetta.

Interposto fra Punta Rocca e Punta Penìa, si alza verso il cielo un imponente pilastro di compatto calcare giallo-grigio che poggia sulla lunga cengia mediana. Una fascia di gialli accentuati strapiombi, alta più di cento metri, ne impedisce però l'accesso; problema non certo di semplice soluzione, data la compattezza della roccia. È questo il tratto più impegnativo, dove si rivela utile una buona padronanza della tecnica artificiale. Naturalmente, dal punto di vista della pura arrampicata, questo tratto non è molto interessante, ma non vi è altro modo per accedere alla parete terminale del pilastro dove si sale ben più disinvolti. In basso l'attacco coincide con una successione di fessure subito sulla sinistra della riga d'acqua che segna verticalmente la parete fra la via dei "Sudtirolesi" e la "Gogna". Qui la roccia è grigia e l'arrampicata attraente soprattutto poco sotto la cengia, dove una placca verticale richiede movimenti ben controllati.
Per lunghi tratti le difficoltà non sono eccessivamente elevate, ma nonostante ciò l'impegno complessivo è da non sottovalutare; i primi cento metri ed i primi 150 oltre la grande cengia rallentano sensibilmente l'ascensione. Questi tratti sono comunque completamente attrezzati.


Dieci giorni in parete per vincere il “Pilastro Nino”
La conquista di un sogno

Mentre stiamo salendo la val Ombretta, un soffio di vento apre un varco fra le nebbie della sera e la muraglia Sud appare ai nostri occhi come per incanto. In questo momento penso che nessun appellativo più indicato quale «la regina delle pareti», possa definire quei mille metri di placche lisce, di enormi strapiombi, di profondi canali, di torri e guglie fra le quali si intravedono le mura di ghiaccio che delimitano la parte alta del ghiacciaio. Al mio fianco cammina Chicco, amico e compagno di cordata nelle belle avventure; parliamo del
più e del meno, ridiamo e scherziamo ma nelle nostre menti predomina un'unica idea, un solo importante progetto. Al rifugio Falier, Nino ci accoglie con la sua solita amichevole gentilezza ma con una punta di preoccupazione; per ben tre volte nelle settimane precedenti non siamo riusciti ad attaccare la parete a causa del maltempo ed anche oggi il barometro segna nero. Questa volta abbiamo però a disposizione una settimana di ferie e siamo decisi ad aspettare che migliori. Mentre ceniamo arriva un violentissimo temporale; in cinque minuti cadono quindici centimetri di grandine grossa come uova e la temperatura ha uno sbalzo termico di venti gradi. Dalla finestra del rifugio guardo i canali della parete, trasformati in fiumi di ghiaccio; trovarsi lassù in questo momento significherebbe essere spazzati via.
Dentro di me sento un senso di disagio e mi domando se il nostro progetto non sia un po' troppo ambizioso, se le nostre forze non siano troppo deboli rispetto all'incredibile potenza delle forze della natura. La parete sopra di noi ha una fama sinistra e l’indescrivibile bellezza delle sue guglie, torri e pilastri, non può far dimenticare la pericolosità dei suoi canali terminali, quasi sempre intasati di ghiaccio e neve e che si trasformano in micidiali condotte forzate in caso di cattivo tempo. Da troppo però sto sognando di poterla salire per un itinerario nuovo, da noi completamente ideato e realizzato ed ora che ho la possibilità di concretizzare il mio sogno non me la sento di avere delle incertezze o per lo meno non voglio per il momento averne. Vado quindi a riposare mentre il rombo del temporale si sta lentamente smorzando.
Domenica 1 agosto
Sono circa le otto quando Nino ci sveglia invitandoci a far colazione. L'aria è frizzante ed il cielo completamente sereno; la gelata notturna ha pietrificato il paesaggio ed i primi raggi di sole scintillano sulla parete trasformata in un grande, fiabesco castello di ghiaccio. Per il momento non possiamo di certo attaccare ma il rimanere inattivi al rifugio non è nel nostro carattere e decidiamo quindi di portare su il materiale.
Salutato Nino ci inerpichiamo per il ripido sentiero fra le urla di marmotte ed il poco piacevole rumore di scariche di pietre e ghiaccio che cadono dall'alto. Ci sentiamo un po' toccati dalla malasorte perché la parete era in buone condizioni prima del temporale
di ieri sera. Dalle fessure che intendiamo salire cade una cascata d'acqua ma il sole è molto caldo e ci aspettiamo che riesca, almeno in parte, ad asciugarle. In alto si staglia nettissimo, fra la Punta Penìa e la Punta Rocca, il pilastro che vogliamo conquistare; mille metri di parete verticale, a tratti strapiombante, ci separano dalla vetta. Con il pensiero l'abbiamo già salita centinaia di volte, ora dobbiamo vincerla nella realtà.

Il primo tentativo
Passano alcune ore prima che le fessure ci sembrino praticabili; iniziarne quindi a salire, alternandoci al comando della cordata. Procediamo lentamente a causa delle difficoltà molto elevate ed a sera abbiamo percorso un centinaio di metri quando ci caliamo alla base per bivaccare. La notte passa abbastanza tranquilla e all'alba siamo pronti a risalire le corde lasciate in parete. Le fessure però sono ancora bagnate il che vuoi dire che nella parte superiore vi è ancora parecchio ghiaccio e questo ci fa presagire che la parete non si asciugherà molto presto, anche perché il sole è scomparso dietro una fitta nebbia che ci avvolge con il suo freddo ed umido velo. Fortunatamente, dal basso, abbiamo studiato molto bene il tracciato da seguire e questo ci permette di procedere sicuri verso la grande cengia mediana che raggiungiamo poco prima di sera. In una nicchia abbastanza riparata sistemiamo il nostro bivacco mentre la nebbia non accenna a diradarsi. Sopra di noi una fascia di strapiombi sbarra l'accesso al pilastro terminale e penso dovremo sudare parecchio per superare quel tratto.
Dopo una frugale cena che mi lascia inalterata la fame, mi abbandono ad un dormiveglia che mi accompagna tutta la notte. Poco prima dell'alba mi desta un soffio di vento gelido; siamo ancora avvolti dalla nebbia ma, in un attimo che questa si dirada, mi accorgo che il ciclo è coperto. La roccia è completamente bagnata; sta piovendo. Richiudo imprecando il sacco da bivacco mentre sento affievolirsi le speranze di poter oggi superare il tratto rimanente. Restiamo nei socchi ancora per un paio d'ore ma poi, visto che il tempo non migliora, decidiamo di salire ugualmente. Fa molto freddo e continua a piovere ma non vogliamo desistere. Mentre mi vesto con tutto quello che ho portato, osservo la parete sopra di noi; un muro di roccia gialla strapiombante, alto più di cento metri ma tagliato verticalmente da una nera fessura.
“Ecco dove dobbiamo passare” penso, ma per raggiungere la fessura si deve vincere una placca di roccia compatta, alta trenta metri, che sembra essere impossibile da salire. Alzatemi alcuni metri inizio a chiodare, sfruttando i buchi nella roccia e le rare fessure ma procedendo in questo modo molto lentamente. Voglio limitare al massimo l'uso dei chiodi a pressione e per questo devo salire su chiodi al limite della tenuta alternando delicati passaggi in artificiale e difficilissimi passaggi in libera mentre il freddo e la pioggia mi penetrano dovunque, facendomi di tanto in tanto sussultare dai brividi.
Chicco, alla sosta, batte continuamente i piedi e le mani contro la roccia per favorire la circolazione, ma mi ripete di non riuscire a scaldarsi.
È una continua lotta contro la ragione che ci imporrebbe di tornare indietro e dobbiamo dar fondo a tutta la nostra forza di volontà per non desistere. Dopo sette ore di indescrivibili sforzi riesco ad attrezzare una sosta alla base della fessura da dove mi posso calare; sono sfinito ed ormai è quasi sera quindi torniamo nella nicchia che ospita il nostro terzo bivacco. Durante li notte do qualche sbirciatina al cielo nella speranza di intravedere qualche stella o l'alone della luna, ma tutto inutilmente; da tre giorni siamo avvolti dalla nebbia che non accenna a diradarsi.

Mercoledì 4 agosto
Oggi ci alziamo presto, decisi a vincere quel tratto di parete; il tempo è leggermente migliorato anche se il ciclo è ancora coperto. Risalita la corda lasciata in parete, recuperiamo lo zaino con il materiale da bivacco; tocca quindi a Chicco proseguire per la fessura che si presenta però bagnata e strapiombante. Salendo lentamente su difficoltà molto sostenute, riesce a raggiungere una piccola nicchia dove può attrezzare la sosta. Nel momento in cui lo raggiungo però, inizia a piovere abbondantemente; la fessura si trasforma subito in un torrente e bagnati fradici, siamo costretti a scendere un'altra volta. Ci prepariamo quindi ad un altro bivacco nella nicchia, questa volta preoccupati per la scarsità dei viveri che ormai si stanno esaurendo.

Giovedì 5 agosto
Questa mattina mi sveglio di malumore; sta ancora piovendo e, alzando gli occhi, si vedono le guglie più alte montate di bianco.
Siamo provati dal freddo e dalla fatica, abbiamo finito i viveri e siamo ancora bagnati da ieri; seppur a malincuore
dobbiamo decidere di scendere ma in noi è più vivo che mai il desiderio di tornare per riprendere la lotta con la parete.

Il secondo tentativo
Giovedì 19 agosto
Sono trascorse due settimane dalla nostra rinuncia e il tempo sembra ormai ristabilito. Attacchiamo quindi per la seconda volta raggiungendo in un giorno la nicchia dei precedenti bivacchi dove passiamo la notte. Nemmeno a farlo apposta al mattino ci svegliamo ancora avvolti dalla nebbia, mentre un umido vento da ovest ci fa presagire il peggio. In meno di due ore inizia a cadere una fitta pioggia ma, nonostante il nostro morale abbia subito un colpo duro, speriamo in un miglioramento e saliamo verso il punto più alto raggiunto la volta precedente. Bagnato fradicio, con le mani che sembrano due pezzi di ghiaccio, attrezzo la parte terminale degli strapiombi dai quali non posso però uscire a causa della pioggia torrenziale.
Aspetto per due ore rannicchiato in una nicchia un accenno di miglioramento ma mi rendo conto che è inutile sperare e così ridiscendo per l'ennesima volta.
Ormai la parte più difficile della salita l'abbiamo superata e a basterebbe mezza giornata di bei tempo per uscire in vetta, «forse domani» penso, mentre mi sistemo nel sacco da bivacco, ma anche queste mie speranze sono destinate a sfumare. Dopo una breve schiarita ecco infatti avvicinarsi un violentissimo temporale. Allontanato il materiale metallico, ci ripariamo con un telo impermeabile che ci viene però strappato dal vento mentre i fulmini ci cadono a pochi metri provocando rumori assordanti e scariche di sassi.
Dopo un tempo che ci sembra interminabile, lentamente, tutto se ne va come è venuto e riusciamo così ad assopirci in attesa della luce del giorno. Una stellata favolosa accompagna il mio dormiveglia verso l'alba ma un freddo improvviso mi entra nel sacco facendomi sussultare. Dopo il temporale un'incredibile gelata notturna ha ghiacciato la pioggia caduta ed al mattino la parete ci appare come un grosso blocco di ghiaccio. Il freddo è intenso ed una veloce ritirata ci sembra l'unica cosa da fare considerando l'impossibilità di salire con la parete in quelle condizioni.
Iniziarne così una pericolosa serie di corde doppie, fra cascate di acqua e scariche di ghiaccio che cadono dall'alto. Sembra che gli elementi non vogliano permetterci di arrivare in vetta ma la tenacia è una nostra dote e già
programmiamo quando tornare per portare a termine la salita.

I giorni della conquista
Sabato 4 settembre
II ritmico battito cardiaco che mi martella nelle orecchie accompagna i miei pensieri mentre stiamo, per la terza volta, avvicinandoci alla parete. Al rifugio, Nino ci ha assicurato che il tempo è stabile e sicuro ed anche le previsioni sono più che favorevoli, ma non posso fare a meno di essere preoccupato; ormai il periodo delle ferie estive è terminato e non abbiamo più la possibilità di rimanere in parete diversi giorni in attesa del momento più indicato per raggiungere la vetta. Il lavoro, anche se meno piacevole, è purtroppo più impegnativo dell'andare in montagna ed in questo periodo abbiamo a disposizione solo due giorni per portare a termine la nostra salita. In Marmolada va tutto bene finché si riesce a superare la parete in giornata, ma quando si programmano uno o più bivacchi, si ha sempre il timore che cambi il tempo, nel qual caso difficilmente si riesce ad arrivare in vetta. Per affrontare il futuro con più ottimismo voglio però dimenticare il passato, anche se l'esperienza acquisita nei precedenti tentativi non mi permette di riaffrontare la parete a cuor leggero. Attacchiamo poco prima del sorgere del sole, salendo velocemente e alternandoci al comando della cordata; quel tratto di parete lo conosciamo molto bene e questo ci permette di guadagnare tempo. A mezzogiorno arriviamo alla base degli strapiombi che superiamo in meno di cinque ore.
Raggiunta la parete centrale del pilastro ci alziamo per placche e fessure molto belle e relativamente facili e ci portiamo alla base dell'ultimo salto verticale, a circa centocinquanta metri dalla vetta. Il sole è già tramontato e dobbiamo fermarci anche se questa zona non è comoda per bivaccarvi.
Mentre montiamo le amache e ci prepariamo da mangiare, mi sento invaso da una grande euforia; vedo la cima molto vicina e ormai sono sicuro di riuscire a raggiungerla. Un forte vento ci disturba per tutta la notte facendo penetrare il freddo nei socchi, ma il chiarore della luna che brilla nel cielo limpido mi riempie di ottimismo. Non riuscendo a dormire, ogni tanto do uno sguardo al paesaggio che ci circonda: la luna piena illumina, con quel suo chiarore indefinito, cime e gruppi lontani che emergendo da un mare di nuvole, sembrano galleggiare sospesi nell'aria. I noti profili della Civetta, del Pelmo, dell'Agner mi appaiono mutati e le ombre danno al paesaggio un aspetto spettrale ma meravigliosamente bello ed attraente.
Vorrei rimanere delle ore ad osservare quelle forme e sfumature che pochi hanno l'opportunità di poter ammirare e mi sento dispiaciuto ogni volta che il freddo mi costringe a chiudere il sacco.

Domenica 5 settembre
All'alba i primi raggi di sole ci vedono già pronti a riprendere la salita. Quest'ultimo tratto di parete si presenta abbastanza impegnativo ma procediamo con sicurezza ed a mezzogiorno, dopo un breve tratto di cresta terminale, raggiungiamo il punto più alto del pilastro, il nostro sogno è finalmente realizzato. E difficile descrivere quello che si prova in queste situazioni, ma sento che sono questi momenti che danno un senso al soffrire per conquistare una vetta. Dopo dieci giorni di freddo, di fatica, di paure, abbiamo raggiunto il nostro scopo ed il solo pensiero di questo mi fa provare sensazioni nuove; scompare dentro di me quel senso di incertez-za che mi ha accompagnato per tutta la salita ed al suo posto rimane una grande gioia, una grande voglia di vivere. Mi sento più maturo, più ricco di bei ricordi che mi rimarranno dentro per tutta la vita e felice, felice perché ora so che se in futuro avrò altre mete da raggiungere, altri sogni da realizzare, disporrò della forza e della tenacia per farlo. Con un abbraccio ci ringraziamo a vicenda della nostra amicizia e dell'aver saputo infonderci coraggio ed ottimismo, anche nei momenti difficili; iniziarne quindi la lunga discesa che ci porterà alla base della parete dove Nino ci attende ansioso di conoscere l'esito di questo nostro ultimo tentativo.
Dedichiamo la salita alla nostra città, madre di grande alpinismo che ha lasciato tracce sulle più importanti cime e pareti delle Alpi e del mondo, chiamandola via «Rovereto», mentre al pilastro diamo il nome del gestore del rifugio Falier, Nino dal Bon, che sempre ci ha accolto con simpatia e gentilezza e che così si comporta con tutti coloro che si fermano al rifugio.
La via «Rovereto» si sviluppa per oltre mille metri su difficoltà di 5° grado e 5° grado superiore con lunghi tratti di 6° grado e A3 sostenuto; per superare queste difficoltà sono occorse 36 ore di arrampicata effettiva ed una permanenza in parete di dieci giorni con sette bivacchi.













 
Gmountain Partner
Gmountain Partner: Scarpa
Gmountain Partner: Skitrab
Gmountain Partner: Gmountain Partner: Climbing Technology