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VIA DON QUIXOTE
Marmolada d'Ombretta - MARMOLADA
Italia




Parete Sud

Il «Pilastro Don Quixote»
29-30 gennaio 1983
Prima salita invernale realizzata da:
Giordani Maurizio, Zenatti Franco

Il racconto
L'intenso chiarore della luna piena illumina a giorno la val Ombretta mentre con Franco la stiamo risalendo verso il rifugio Falier Il cielo limpido e la temperatura relativamente mite ci carica di ottimismo ma la neve inconsistente ci sostiene solo di rado e sprofondiamo continuamente fino alla vita mentre il fiato si spezza nel tentativo di rialzarsi. Malediamo il momento in cui abbiamo deciso di non portare gli sci ma ormai è troppo tardi per recriminare e posso solo pensare che mai in vita mia ho fatto una tale fatica. Il lavoro non mi ha permesso che qualche scappata in «val Scodella», nella palestra di roccia roveretana, durante la pausa per il pranzo, ed alcune camminate notturne sui monti vicini a casa, ed ora la mancanza di allenamento si fa sentire. È quasi l'una quando, esausti, raggiungiamo il rifugio dove passiamo il resto della notte con la speranza che il bel tempo di questo periodo si prolunghi ancora per qualche giorno. All'alba riprendiamo a salire il pendio verso la base della parete aiutati da una solida crosta di neve ghiacciata, indurita dal freddo della notte, che, camminando con delicatezza, tentiamo di non rompere. Il cielo è velato ma non sembra promettere guai ed al sorgere del sole già stiamo preparando il materiale, alla base di un canalino ghiacciato per il quale pensiamo salga la via «Don Quixote».
Durante i lunghi periodi che l'estate scorsa avevamo passato al rifugio Falier, avevamo spesso sentito parlare degli importanti successi di Mariacher e compagni sulla Parete Sud e soprattutto ci incuriosiva ed interessava lo stile particolare e del tutto nuovo con cui questi arrampicatori portavano a termine le loro salite; ancora però soggiogati agli ideali di un mondo alpinistico roveretano che non conosceva evoluzione, stentavamo ad aderire alle nuove ideologie. Frequentando però le zone dove l'arrampicata sportiva è in pieno sviluppo, a poco a poco ci siamo abituati, ad accettare il cambiamento e soprattutto a parteciparvi ed ora siamo pronti a constatare se quello che noi consideriamo l'effettivo passo avanti dell'alpinismo
moderno, e cioè le salite di Mariacher in Marmolada, sia o meno alla nostra portata.
Di queste vie conosciamo poco o niente ma ci attirano i loro nomi strani quali «Sancho Pansa», «Abrakadabra», «Hatschi Braschi» e «Don Quixote» che abbiamo scelto per questa nostra prima esperienza invernale in Marmolada. Non possediamo nessun’altra informazione se non il vago ricordo di una riga bianca tracciata su di una foto esposta al rifugio Falier ma abbiamo ben presente il pilastro panciuto per il quale sale l'itinerario e pensiamo che, trattandosi di una via in completa arrampicata libera, seguendo le naturali possibilità offerte dalla roccia, probabilmente indovineremo il giusto tracciato.
L'arrampicata si presenta subito pericolosa, anche se non particolarmente impegnativa, a causa della molta neve che ricopre il primo tratto di rocce inclinate e del ghiaccio che praticamente intasa ogni fessura o camino, ma procediamo decisi anche se affaticati dal non indifferente peso dell'attrezzatura che entrambi portiamo nello zaino.
Le ore scorrono veloci in questo periodo, tanto sono brevi le giornate; contiamo però di essere alla grande terrazza mediana ben prima del tramonto in modo da avere tutto il tempo per preparare comodamente il nostro bivacco. Un camino verticale ci impegna non poco ma intuiamo fortunosamente uno spostamento verso destra che ci evita le maggiori difficoltà ed accediamo così facilmente ad un canale inclinato che ci accompagna fino alla grande cengia. Al riparo da due grossi massi scaviamo nella neve due piccole piazzole dove ci sistemiamo nei socchi da bivacco quindi, sciolta con il fornellino un po' di neve, prepariamo del tè caldo. Il sole è da poco tramontato e subito la temperatura si abbassa a parecchi gradi sotto lo zero; siamo però ben attrezzati ed il freddo della notte non ci preoccupa eccessivamente, almeno non quanto ci preoccupino le condizioni meteorologiche che sembrano peggiorare lentamente.
Sopra di noi, il superbo monolitico pilastro di bianco calcare che caratterizza la parte alta della via, il pilastro «Don Quixote», si alza deciso a simboleggiare una delle undici elevazioni che, emergendo dal ripido bordo superiore del ghiacciaio, raffigurano la frastagliata cresta
della Marmolada d'Ombretto.
La pallida luce di una luna velata regala al severo ambiente che ci circonda un aspetto accattivante, fantasmagorico, che colpisce la fantasia con immagini dai colori smorzati ma variati da mille tonalità diverse, mentre le cime più alte sembrano galleggiare sospese sul mare di nuvole che lentamente si avvicina quasi a rappresentare una marea in crescita. Ad est, l'inconfondibile struttura del Civetta osserva silenziosa; fra poco anch'essa sarà abbracciata completamente dal soffice mantello e solo le cime più alte avranno la possibilità di assistere allo spettacolo della notte di luna mentre sotto, quasi soffocate, le luci di Alleghe e Caprile si smorzano lentamente. Uno scenario indimenticabile che rende meno pesante il nostro bivacco anche se il freddo comincia ad entrarci nei socchi dalle parti a contatto col terreno. La notte in questa stagione è particolarmente lunga e solo dopo 15 ore ci possiamo togliere da questa scomoda posizione per prepararci qualche cosa di caldo. Alle prime luci dell'alba però subito ci accorgiamo del grigio colore del ciclo, durante la notte il tempo è peggiorato ed ora verso est un bianco velo circonda le vette più elevate; in Civetta sta sicuramente nevicando. Silenziosi, prepariamo il nostro materiale, indecisi se proseguire o meno, poi il tutto per tutto verso la vetta con la speranza che la tormenta ritardi il più possibile.
L'arrampicata sul tondeggiante pilastro si rivela piacevole anche se le difficoltà aumentano progressivamente e la roccia, che a prima vista sembra spogliata della sua veste invernale, si mostra al contrario spesso smaltata dalla neve ghiacciata, soprattutto dove non arrivano i caldi raggi del sole. Le condizioni meteorologiche comunque non peggiorano ulteriormente per gran parte della giornata, premiando il nostro ottimismo e permettendoci di arrampicare relativamente tranquilli.
A meno di cento metri dalla vetta però un diedrino svasato, che già seguiamo da un paio di tiri di corda, termina sotto una volta strapiombante da dove non si scorge via d'uscita; abbiamo sicuramente sbagliato la via originale ed ora dobbiamo al più presto trovare un'altra soluzione per salire quest'ultimo tratto.
Sulla sinistra un profondo canale delimita il pilastro; probabilmente è la via seguita da W. Philipp durante la sua salita del 1959 ma anche se così non fosse non abbiamo altra scelta perché proseguire verso destra non è possibile e non è nemmeno il caso di tornare indietro dato che fra poche ore sarà notte ed il tempo sta velocemente peggiorando. Con un delicato traverso a sinistra, su roccia quasi completamente ricoperta dal vetrato, raggiungo la profonda spacca-tura, alla base di un suo ultimo salto verticale, sotto un'impressio-nante cascata di ghiaccio dal colore verde smeraldo.
Con un solo paio di ramponi e senza l'attrezzatura adeguata sarà sicuramente difficile superare questo tratto, ma un vantaggio c'è nel trovarsi incassati in questo canale, fra due alte mura di roccia; siamo al riparo dalla bufera che, all'esterno, sentiamo imperversare violenta, indossati i ramponi, franco affronta quest'ultimo tratto di parete che si sta rivelando di gran lunga il più impegnativo dell'intera salita. Un po' gradinando il ghiaccio, un po' salendo in spaccata fra le facce interposte dello stretto camino, con le punte dei ramponi pericolosamente appoggiate alla roccia, franco riesce a salire una lunghezza di corda mentre la luce lentamente degrada, aumentando l'oscurità di questa nostra situazione. Completamente al buio franco riesce ad attrezzare un precario punto di sosta mentre io posso togliere dallo zaino il frontalino per rompere, almeno in parte, il nero della notte. Distrattamente però appoggio male guanti e passamontagna che, al primo brusco movimento, mi volano in basso subito scomparendo nel buio.
Cercando di non pensare alle possibili conseguenze della mia sbadataggine, aiutato dalle corde, risalgo velocemente il camino, quindi franco può riprendere la salita, questa volta aiutato dalla luce della sua torcia elettrica.
Da qualche ora sta nevicando abbondantemente mentre il vento, sempre più impetuoso, provoca rumori assordanti, soprattutto in alto, fra le guglie della cresta, dove sembra di una violenza inaudita. Il canale inoltre scarica di continuo e spesso mi trovo completamente sommerso nella neve polverosa; seppure senza guanti però, tenendo le mani sotto la giacca a vento e facendo attenzione a non toccare con la pelle oggetti metallici, non perdo la sensibilità degli arti e questo mi rassicura.
Sono circa le 22 quando, sfiniti, arriviamo alla stretta forcella sommitale dove però il vento sembra volerci ricacciare indietro. Per lunghi interminabili periodi dobbiamo buttarci sulla neve, aggrappati al martello-picozza, per non venire spazzati via, mentre penso che, esausti come siamo, non ce la faremo mai ad arrivare alla stazione di Punta Rocca della funivia, unico ma irraggiungibile riparo dato che, in questo inferno, non si vede ad un palmo dal naso.
Spostandoci verso ovest lungo il ripido pendio ghiacciato che caratterizza, in questa zona, il limite alto del catino glaciale della Marmolada, dopo più di un'ora di sforzi, raggiungiamo una seconda forcella, distante dalla prima una cinquantina di metri. Ormai senza forze ci sdraiarne sulla neve, decisi ad un difficile bivacco, quando un attimo di schiarita ci fa notare i cavi metallici della funivia che ci passano a pochi metri; subito riprendiamo coraggio e, seguendo quella provvidenziale traccia, arriviamo facilmente sul piano di neve, a pochi metri dalla costruzione, all'interno della quale passiamo il resto della notte in attesa, all'indomani, di scendere a valle lungo il sottostante ghiacciaio.
Mai abbiamo incontrato così grosse difficoltà nel salire una parete ma quando, scendendo in automobile lungo l'Agordino, ci rendiamo conto dei grossi danni che la bufera di vento della notte scorsa ha causato anche a valle, subito pensiamo all'attimo fortuna-to di quella schiarita che ci ha tolto da una situazione estremamente difficile. Quando gli elementi si scatenano la natura esplode in tutta la sua potenza ed è solo in questi casi che l'uomo si rende conto di quanto piccolo sia rispetto ad essi e noi, in prima persona lo abbiamo constatato.
Questa avventura la ricorderemo sicuramente per molto tempo ma ora ci chiediamo come avrebbe potuto essere piacevole la salita in tutt'altre condizioni; il «Don Quixote» in inverno ha avuto la sua difficile storia ma già un altro nome ci si insedia nella mente ad indicare la nostra prossima avventura: il pilastro «Hatschi Bratschi».








 
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