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VIA DEL POPO
Ogres Thumb (5600m) - Karakorum
Pakistan




BEARS TOWER - Biafo '96

"Il Karakorum è un impietoso mondo di pietra e di ghiaccio"
Così Doug Scott descrive nel suo libro "Himalayan Climber" questa immensa catena di monti, seconda per estensione solo alla vicina Himalaya dalla quale si stacca e propaga verso nord ovest. Un mondo di pietra effettivamente, oltre che di ghiaccio, perché gran parte delle migliaia e migliaia di montagne che lo compongono sono vette granitiche dall'aspetto ardito e slanciato, che si alzano dai ghiacciai come torri di un immenso castello medioevale.
Ne fanno parte cime famose come il K2, il Nanga Parbat, il Broad Peak o i Gasherbrum, quelle cioè che superano gli 8000 metri, ma anche le Torri di Trango, i Latoks ed un'infinità di altre montagne, ancora sconosciute, che per la verticalità, altezza e levigatezza delle loro pareti, l'isolamento assoluto e la quota compresa fra i 5000 e gli 8000 metri rappresentano il terreno di gioco ideale per un alpinismo ai massimi livelli dove le difficoltà tecniche elevate miscelate ad un ambiente selvaggio di assoluta rigidità garantiscono l'esperienza di una grande viaggio nel mondo dell'avventura estrema.
La
spedizione "BIAFO '96" si è diretta appunto alla scoperta alpinistica di queste montagne avendo scelto come obiettivo una stupenda torre granitica dall'aspetto di obelisco, immersa nel Karakorum pakistano, in Baltistan, ed alla quale si arriva seguendo affluenti laterali dell'immenso ghiacciaio di Biafo. La torre, denominata Ogres Thumb (pollice dell'Ogre) o Bears Tower (Torre degli orsi) raggiunge una quota di 5600 metri e si alza come un dito verso il cielo dal ghiacciaio Uzun Brakk, proprio nel mezzo del gruppo dei Latok, ai piedi del Baintha Brakk (Ogre, 7285 m.).

Già tentata senza successo da Maurizio Giordani e Stefano Righetti nel 1991, ed ancora dagli stessi con Stefano Pellegrini nel 1993, con condizioni meteorologiche avverse, la parete sud della torre ha finalmente ceduto ai primi di giugno di quest'anno, quando Giordani è tornato alla carica assieme a Mauro Fronza e D. Jonathan Hall (Tato).

Intensissime nevicate hanno caratterizzato la stagione primaverile in Karakorum, tanto che a fine maggio in zona vi è un innevamento assolutamente eccezionale ma durante la prima decade di giugno
si é stabilizzata un'area di alta pressione che ha permesso ai tre alpinisti di rimanere in parete per quattro giorni consecutivi, dall'8 all'11 giugno, per completare la salita inventando un itinerario particolarmente lungo e difficile che vince direttamente la parete sud, alta oltre 1000 metri. 33 tiri di corda per uno sviluppo di circa 1300 metri e difficoltà praticamente costanti oltre il 6° grado con punte fino al 7°+ A3, 24 corde doppie in discesa sono i dati tecnici che contraddistinguono l'ascensione ma ciò che merita attenzione é lo stile adoperato da Giordani e compagni che proietta i metodi usati nelle loro più moderne realizzazioni dolomitiche, anche in ambiente himalajano; un uso cioè limitatissimo di materiale, di ogni tipo, sia al campo base che in parete.
La ricetta si scrive facilmente anche se poi non è affatto semplice metterla in pratica; leggerezza, velocità, determinazione. Questo significa portare con sé pochissimo materiale, scelto con cura per le sue caratteristiche di leggerezza ed affidabilità e salire decisi e sicuri, supportati da un'esperienza ed un allenamento che di fatto limita
i rischi, ripara da possibili errori e regala alla cordata una progressione rapida e continua. Sembra tutto ovvio.
Quando però si scava nella realtà si vede che la norma é un'altra, e non segue affatto questa strada. Di norma le spedizioni che si avviano verso obiettivi alpinistici extraeuropei (e non solo) sono stracariche di ogni tipo di materiali, spessissimo inutili o quantomeno superflui, ai quali gli alpinisti si "aggrappano" con religiosa devozione salvo poi abbandonare il tutto dopo l'utilizzo lasciando una traccia indelebile del proprio passaggio, anche in parete.
Sulla "Torre degli Orsi", a parte gli ancoraggi per le calate in corda doppia, è rimasto ben poco materiale; qualche chiodo che non usciva e 5 spit, utilizzati per non sconfinare nell'azzardo, dove null'altro si poteva adoperare. Del resto, quando il materiale é "contato", lo si deve utilizzare al meglio evitando sprechi ed abusi e salvando pure il Budget della spedizione che, essendo auto finanziata, non può sconfinare oltre i ridottissimi limiti previsti.
Questa nuova via sulla parete sud, la più alta, ripida e compatta della torre, si aggiunge a quella aperta dai tedeschi nel 1988 sulla parete sud ovest, alta 700 metri, e ripetuta lo scorso anno da A. Huber e Hans; due itinerari che segnano l'inizio della storia alpinistica della "Torre degli Orsi", della quale sentiremo sicuramente parlare ancora in futuro. La si può infatti paragonare, per quota, aspetto e difficoltà, alle non lontane Torri di Trango e Biaho che ormai rappresentano degli autentici "pilastri" dell'alpinismo estremo d'alta quota.
Un terreno di gioco ideale per chi voglia sperimentare cosa significhi salire su roccia compatta e verticale oltre i 5000 metri, magari per una trentina di tiri di corda, tutti impegnativi; chi non lo ha mai fatto incontrerà delle grosse sorprese perché la quota ingigantisce tutto e tutto risulta essere più difficile, faticoso e sproporzionato rispetto a quello che succede ad altezze "alpine".
Ora una nota dolorosa: Stefano Pellegrini, in parete sulla Torre con Giordani e Righetti nel 1993, ha intrapreso di recente il suo "ultimo viaggio" ed a lui é dedicata quest'ascensione, denominata "via del Popo". Da parte dei suoi amici.








 
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